Ordinanza n.55/2003

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ORDINANZA N.55

ANNO 2003

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Riccardo            CHIEPPA                       Presidente

 

- Gustavo             ZAGREBELSKY           Giudice

 

- Valerio                ONIDA                               "

 

- Carlo   MEZZANOTTE              "

 

- Fernanda            CONTRI             "

 

- Guido NEPPI MODONA          "

 

- Piero Alberto     CAPOTOSTI     "

 

- Annibale            MARINI             "

 

- Franco BILE                                     "

 

- Giovanni Maria                FLICK                 "

 

- Francesco           AMIRANTE     "

 

- Ugo     DE SIERVO                      "

 

- Romano             VACCARELLA"

 

- Paolo   MADDALENA                               "

 

- Alfio    FINOCCHIARO             "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 106, comma 4-bis, del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dalla Corte di assise di appello di Caltanissetta con ordinanza del 21 dicembre 2001, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2002, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2002.

 

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

    udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2003 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 

    Ritenuto che con ordinanza del 21 dicembre 2001 la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 106, comma 4-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 16, comma 1, lettera c), della legge 13 febbraio 2001, n. 45 (Modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonché disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza), nella parte in cui esclude che uno stesso difensore possa assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen.;

 

    che il rimettente premette che nel giudizio a quo l'illegittimità costituzionale della norma censurata è stata eccepita dal difensore di due imputati che avevano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di altri coimputati;

 

    che ad avviso del giudice a quo la ratio della norma censurata va ravvisata nella <>;

 

    che sarebbe quindi evidente come la limitazione alla scelta del difensore, trovando <>;  che, al riguardo, il rimettente dichiara di condividere le argomentazioni svolte dalle Corti di assise di Agrigento e di Palermo in due ordinanze (r.o. n. 664 e n. 667 del 2001) con le quali era stata sollevata analoga questione di legittimità costituzionale;

 

    che la nuova causa di incompatibilità prevista nell'art. 106, comma 4-bis, cod. proc. pen. determinerebbe inoltre una irragionevole disparità di trattamento <

            Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell'art. 106, comma 4-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 16, comma 1, lettera c), della legge 13 febbraio 2001, n. 45, nella parte in cui esclude che uno stesso difensore possa assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen.;

 

            che ad avviso del giudice a quo la norma censurata si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto determina una irragionevole disparità di trattamento tra i collaboratori di giustizia e gli <<imputati/indagati comuni>>, per i quali non opera la medesima preclusione, nonché con l'art. 24 Cost., posto che l'imputato risulterebbe privato della <> di scegliere il proprio difensore, che costituisce esplicazione essenziale del diritto di difesa;

 

            che analoghe questioni, sollevate in riferimento ai medesimi parametri dalla Corte di assise di Agrigento e dalla Corte di assise di Palermo con le ordinanze iscritte rispettivamente ai numeri 664 e 667 del registro ordinanze del 2001, alle quali si richiama il giudice a quo, sono state dichiarate manifestamente infondate da questa Corte con ordinanza n. 214 del 2002, successiva all'ordinanza di rimessione;

 

            che la Corte ha in tale occasione rilevato, in riferimento all'art. 3 Cost., che la formulazione letterale della norma censurata, sia pure inserita in una legge relativa alla protezione e al trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia, non autorizza a ritenere che la sua sfera di applicazione sia limitata ai collaboratori che abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di altri imputati;

 

    che più in generale la norma censurata, tenuto conto anche della sua ratio (per cui vedi la già menzionata ordinanza n. 214 del 2002), si riferisce a tutti gli imputati che abbiano reso dichiarazioni erga alios, a prescindere dalla circostanza che rivestano la qualità di collaboratori di giustizia;

 

     che, quanto alla violazione dell'art. 24 Cost., la Corte ha inoltre affermato che la libertà di scelta del difensore può subire limitazioni dettate sia da esigenze di funzionalità dell'organizzazione giudiziaria, sia dal contemperamento con altri interessi, anche processuali, meritevoli di tutela, purché i limiti posti dal legislatore siano frutto di scelte discrezionali non irragionevoli e comunque tali da assicurare una possibilità di scelta del difensore sufficientemente ampia;

 

            che, non risultando profili diversi o aspetti ulteriori rispetto a quelli già valutati con la precedente ordinanza n. 214 del 2002, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

 

            Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

            dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 106, comma 4-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di assise di appello di Caltanissetta.

 

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2003.

 

Riccardo CHIEPPA, Presidente

 

Guido NEPPI MODONA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2003.